Rassegna Nazionale di musica popolare,acustica e contemporanea

 La casa museo di Antonino Uccello a Palazzolo 

“L’idea di un museo non sarebbe stata neanche pensabile per chi, come me, proviene da una famiglia povera.
Nella nostra casa gli oggetti, pochi e rari, erano quelli dell’uso quotidiano, della nostra vita di tutti i giorni. Altri invece — fotografie di famiglia, immagini devote, o ricordi di emigrazioni o di guerra — rappresentavano delle vere e proprie reliquie che sarebbe stato impensabile, perfino sacrilego, sottrarre e deportare altrove.
È stato dopo lo sbarco degli alleati, durante le battaglie che si combattevano per la conquista delle terre incolte da parte dei contadini, che ho cominciato a prendere coscienza di una realtà che mi costringeva a osservare e a capire.
Quando ci recavamo nei feudi e nelle terre in abbandono, spesso i contadini buttavano via gli attrezzi dell’uso quotidiano: cucchiai e collari in legno per bovini o per ovini si ritrovavano spesso negli immondezzai; con un gesto che voleva distruggere tutto un cattivo passato. Era il rifiuto di tutto un mondo che rappresentava per loro uno stato di oppressione, il loro male antico.
Erano oggetti che io avevo visto fin dalla nascita e che costituivano gli utensili della pratica quotidiana nella nostra famiglia, così povera che perfino sull’unico cantarano — portato in dote da mia madre — il falegname aveva sostituito il piano di marmo con quello di legno dipinto: per risparmiare, si diceva in famiglia.
Sul cantarano liberty gli oggetti erano rarissimi: solo in ottobre le poche chicchere superstiti dei regali di matrimonio venivano arricchite da melecotogne, che maturavano lentamente e riempivano di aromi naturali — resistenti fino alle soglie dell’inverno — i grandi locali imbiancati di viva calce.
Era impensabile per me fare un museo di simili oggetti.
Ma quando questi utensili cominciarono a subire la distruzione, come mi venne di osservare durante le lotte contadine, inconsciamente mi resi conto che c’era qualcosa che noi stavamo perdendo irrimediabilmente.
Non avevo ancora vent’anni, e cercavo di recuperare tutto quello che potevo.
I miei interessi allora erano rivolti alla poesia, compresa quella popolare.
La scuola, che a mia madre e ai miei nonni era costata fame e fatiche indicibili, non mi aveva però dato possibilità di intendere il senso delle cose che raccoglievo. Cominciai a prendere coscienza solo a vent’anni, quando emigrai in Brianza, a contatto con uomini di estrazione culturale diversa dalla mia. Tra i primi conobbi Ernesto Treccani, Raffaellino De Grada, Salvatore Fiume, Luigi Guerricchio, e quindi Luciano Budigna, Bartolo Cattafi, Piero Chiara, Scheiwiller, e Bosio e Leydi.
Durante il periodo delle vacanze ritornavo in paese. Giovane ero già sposato. Mia moglie proviene da una famiglia di coltivatori diretti. Insieme, io e mia moglie, cominciavamo le nostre escursioni alla ricerca della poesia popolare e via via degli usi, delle tradizioni, del modo di vivere delle classi popolari.
Quei primi oggetti e attrezzi di lavoro rinvenuti nei rifiuti, ora, dopo il fallimento della riforma agraria e con la grande emigrazione, era più facile trovarli abbandonati tra le macerie: tra i muri crollati e sotto le tegole, nell’incuria generale. Già prevalevano gli oggetti di consumo, che oltre tutto rappresentavano un mondo di promozione sociale. L’utensileria dei grandi magazzini faceva concorrenza ai cucchiai di legno e agli strumenti popolari.”

Antonino Uccello

 

Il pane e la panificazione

Il telaio della casa ri massaria

Cavagne:  Fiscella di canna per deporvi la ricotta

Lavorazione a intreccio

Il trappitu, cioè frantoio per le ulive

Mantellina per neonato

Le fotografie qui pubblicate sono di Giuseppe Leone e Nino Privitera

tratte dal sito di Antonino Uccello

Url: www.antoninouccello.it

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